MAROCCO 2001

di Daniele Chiasserini

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Daniele Chiasserini

Oasi

deserto

Essaouria - Porto

Essaouria - Cantiere

Fes - Concerie

Gente 1

Gente 2

Marrakech

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Premessa

Quando non si è viaggiatori per professione ma solo per profonda passione, diventa indispensabile contemperare la sete di nuovi spazi e d’avventura con le esigenze imposte dal quotidiano. Spesso la gabbia dei doveri serra con troppa crudeltà le ali dello spirito, ma tant’è… fino alla costruzione di una società migliore di questa, gli elementi indispensabili per incendiare la benzina del nostro entusiasmo continueranno a essere il tempo e il denaro. E per chi è costretto a lavorare per procurarsi il secondo, il primo resterà sempre un bene prezioso e limitato.Avevamo pianificato il viaggio da mesi, pensando di poter contare sulle canoniche tre settimane di ferie, da prendere magari all’inizio dell’autunno (a detta di tutti il periodo più adatto per visitare il Marocco in moto), poi una serie di vicissitudini hanno fatto sì che potessimo partire solamente a cavallo di ferragosto e, soprattutto, solo per due settimane. La cosa più logica sarebbe stata, probabilmente, quella di cambiare meta ma ormai il nostro immaginario aveva galoppato troppo a lungo su e giù per le montagne dell’Atlante e lungo le piste sabbiose del deserto e i vicoli tortuosi delle medine delle città imperiali, per poter sostituire a quelli altri fondali. Abbiamo ridisegnato sulla carta la lunga linea spezzata che ci avrebbe guidato alla scoperta di questa nazione sintesi di tanti diversi paesaggi, sacrificando qualche località “marginale”, riducendo al minimo le permanenze nelle diverse città, allungando al massimo le tappe del lungo trasferimento fino allo stretto di Gibilterra. Abbiamo messo in preventivo di “bruciare” in sole quattro giornate i 5200 km di autostrada che riempiono di noia la tratta Roma - Algeciras - Roma. Ci restavano, aggiungendoci il w-e che precedeva l'inizio delle ferie "ufficiali", 12 gg effettivi da spendere in Marocco. Non moltissimi ma…

 

Ven 10: Roma - Savona (km 600)

Partiamo direttamente all’uscita dall’ufficio, per tirare via qualche centinaio di chilometri dal fardello d’autostrada che c’è riservato nei due giorni a venire. Appena il tempo di passare da casa, caricare sulla moto il bagaglio già preparato dalla sera prima e siamo in viaggio. Ci liberiamo a fatica dal soffocante abbraccio metropolitano di Roma. L’aria è rovente e satura di smog e di umidità. Ci chiediamo con un po’ di preoccupazione quale temperature ci aspettano nei prossimi giorni, nel profondo sud del Marocco. L’Aurelia ci accompagna per un paio d’ore, consueta e familiare, offrendoci paesaggi visti mille volte, mentre sorpassiamo una dopo l’altra le station wagon dei vacanzieri diretti verso le diverse località di villeggiatura.Sulla Livorno - Genova il traffico è finalmente più scorrevole. Possiamo tirare un po’, con l’obiettivo di arrivare in serata in prossimità del confine con la Francia o addirittura di riuscire a montare la tenda in una delle attrezzatissime aree di sosta francesi (durante i trasferimenti è la maniera di pernottare più pratica ed economica, oltre che quella che consente di perdere meno tempo nelle operazioni di carico / scarico della moto).Attraversiamo Genova che sta facendo buio, sopra le assurde rampe di un’autostrada - tangenziale che sorvola il centro abitato come l’ottovolante di un gigantesco luna park. Guardiamo accendersi le luci fioche del suo porto per la seconda volta in meno di un mese, anche questa volta da lontano. Il nostro pensiero corre allo scenario di devastazione e di sangue con il quale Genova ci accolse solo poche settimane fa. Ricordi indelebili che nelle nostre menti legheranno per sempre questa città alle sensazioni dell’inquietudine e dell’indignazione. Ci chiediamo se un giorno riusciremo a visitarla davvero, penetrando con occhi da turisti nei recessi inviolabili della sua Zonarossa.Nei pressi di Savona ci sorprende la pioggia. Ci rifugiamo nel primo Motel, con la speranza di una migliore fortuna per l’indomani.

 

 

 

Sab 11: Savona - Amposta (km 1000)

Guidiamo tutto il giorno lungo autostrade intasate da un traffico senza tregua. Ogni tanto la lunga processione di auto si congestiona in interminabili ingorghi di lamiere infuocate sotto il sole rovente. Ringraziamo ancora una volta l’agilità offerta dal nostro mezzo mentre ci lasciamo alle spalle decine di chilometri slalomando tra le macchine ferme oppure percorrendo con cautela la corsia d’emergenza. Cominciamo a notare come ai mezzi dei vacanzieri europei si mescolino con frequenza sempre maggiore quelli dei marocchini che rientrano in patria per le ferie: vecchi furgoni e giardinette con targhe italiane, francesi, tedesche, cariche all’inverosimile di merci d’ogni tipo: le briciole del benessere del ricco occidente, che gli emigranti riportano casa, per condividerle coi parenti rimasti in Africa. Al tramonto siamo riusciti, nonostante tutto, a percorrere un migliaio di chilometri: più o meno quanti ce ne aspettano per l’indomani. Usciamo dall’autostrada e andiamo a dormire in un campeggio sulla costa, nei pressi di Amposta, col culo rosso e la schiena indolenzita.

 

Dom 12: Amposta – Algeciras (km 1000)

In Spagna la situazione traffico è notevolmente migliorata. Sul filo dei centosessanta ci lasciamo rapidamente alle spalle paesaggi tipo far west, brulle montagne e aride distese che sanno già d’Africa. Arriviamo ad Algeciras al tramonto. Giusto il tempo di trovare una pensione nei pressi del porto e di mangiare un boccone in una taverna sotto i portici del viale che fronteggia il molo, in un’atmosfera multietnica che fa tanto posto di confine.

 

Lun 13: Algeciras – (traghetto) – Tangeri – Fes (km 350):

  Due ore e mezza di traghetto (che le due ore regalate dal fuso trasformano in mezz’ora appena) e sbarchiamo in Marocco. Avendo potuto effettuare a bordo la maggior parte delle operazioni doganali, in breve riusciamo a lasciare il porto, immergendoci nel traffico caotico di Tangeri. L’impatto con l’Africa sono i suoi odori potenti, l’intrico disordinato di persone e attività. Ci lasciamo rapidamente alle spalle la periferia di Tangeri, i cumuli d’immondizia che macerano sotto un sole impietoso. Puntiamo verso Fes, prima vera tappa del viaggio, lungo una strada monocorsia, poco più di una striscia d’asfalto che si arrampica su un mondo fatto di grano. Ragazzini cenciosi custodiscono capre e asini che brucano tra le stoppie di grano; le case sono costruite con la paglia impastata con chissà quale tipo di collante; gli animali arano i campi di grano; le donne usano la farina di grano per le loro focacce e poi, tornate nelle loro case di paglia, fanno bambini da mandare nel grano… Arriviamo a Fes quando il sedere chiede pietà e, seguendo indicazioni vaghe e contraddittorie per il centro, finiamo invece in una medina periferica, assolutamente al fuori da qualsiasi itinerario turistico. In giro, infatti, non vediamo neppure un viso europeo. Siamo circondati da una folla di persone sciamanti che vendono, comprano, bevono tè alla menta, tutto in maniera frenetica e corale. Noi e la nostra moto sembriamo davvero precipitati da un altro pianeta e veniamo bersagliati da decine di occhiate stupite, curiose, a volte – ma forse è solo una nostra impressione – perfino torve. Proviamo a chiedere indicazioni ma nessuno sembra in grado di comprendere il nostro linguaggio. L’odore degli spiedini di carne che arrostiscono sui bracieri dei venditori ambulanti contribuisce a farci girare la testa. Veniamo fuori dall’intrico di strade e vicoli solo chiedendo al conducente di un “petit taxi” di guidarci fino a una pensione che abbiamo scelto nella guida fra quelle “economiche” e che si trova all’ingresso dell’antica medina, il quartiere nel quale si concentrano le maggiori attrazioni di Fes.

 

Mar 14 / Mer 15: Fes

Sveglia alle 6 perché il grido stridulo del Muezzin, rimbalzato per tutta la città da gracchianti altoparlanti, ci ricordano che è ora di alzarsi. La levataccia, se non altro, ci consente di usare per primi i sudici bagni comuni, che nelle ore a venire verranno presi d’assalto dalle decine di routard marocchini ed europei che affollano la terrazza e i corridoi della pensione, avvolti nei sacchi a pelo. Dopo una veloce colazione partiamo alla scoperta della città lungo le intricate strade della medina, ricavandone immediatamente vivide impressioni. Tutto sembra una potenza dei nostri stereotipi: i bambini lo sono al quadrato perché sembrano più piccoli e indifesi; i vecchi anche, più malati e sofferenti; perfino gli animali sembrano più bestie che altrove. Una sola costante: tutti hanno fame. Dalla “Grande Rue”, una strada non più larga di tre metri che fa da spina dorsale alla medina, si dipartono i vicoli bui dei diversi souck (mercati “monotematici”, dedicati alle diverse forme di artigianato), tanto intricati che nessuno è mai stato in grado, sembra, di disegnare una mappa della zona. Tutto è molto stretto e angusto. Le botteghe, le moschee, perfino i monumenti sembrano ingoiati dalla città e per trovarli è sempre necessaria l’indicazione di qualche ragazzino locale. Questi, d’altra parte, sono dappertutto: sporchi e frettolosi trasportano le merci più svariate da un vicolo all’altro oppure ti assillano offrendosi come guide o chiedendo denaro o regali. Il secondo giorno scopriamo che una delle maniere più interessanti di visitare questa specie di gigantesco labirinto è quella di vagare senza meta per suoi meandri, lasciando che sia il caso a farci imbattere nei suoi tesori nascosti, negli scorci più suggestivi e caratteristici. Visitiamo l’antica Medersa, una sorta di Università degli studi coranici. Non possiamo invece accedere alle Moschee: qui in Marocco sono vietate ai non mussulmani. Di souck in souck arriviamo a quello dei tintori. In cambio di pochi dirham veniamo guidati fino a una terrazza che permette di dominare da una posizione favorevole uno spettacolo che non dimenticheremo. Le concerie sono vasche d’acqua colorata nelle quali quelli che ci sembrano i dannati di un girone dantesco lavano, rimestano, spostano pelli di pecora precedentemente essiccate al sole. L’odore di cadavere è nauseante, ci mette un attimo a serrarti la gola e inevitabile arriva il conato di vomito. L’attività comunque deve produrre un bel giro d’affari, a giudicare dal traffico frenetico di muli, persone, pacchi e turisti.

 

Gio 16: Fes - Merzouga (500 km)

Di nuovo in piedi alle 6. Scavalchiamo il tappeto di ragazzotti collassati dall’hascisc che ingombra il corridoio della pensione, facendo attenzione a non calpestare gambe, mani, chitarre. Recuperiamo la moto dal garage dove ha riposato questi due giorni e partiamo. L’acqua scrosciata dai lampi di ieri notte (il primo temporale a Fes dall’inizio dell’anno, pare) ha ripulito un po’ l’aria e attenuato l’odore di piscio e di immondizia che invadeva le strade intorno alla nostra pensione (o forse siamo noi ad esserci abituati…). Partiamo dunque col fresco ma più procediamo verso sud più la temperatura aumenta. La metamorfosi del paesaggio, parimenti, è rapidissima. All’inizio attraversiamo colline ricoperte da piccole foreste. Poi ci sono ore di altipiani infiniti, stepposi e battuti da un vento fortissimo e infuocato che ci fa quasi sbandare e ci toglie il respiro, seccando le nostre mucose. Acquistiamo di nuovo quota lungo i mille tornanti che si arrampicano sul fianco di montagne brulle e rocciose. Scivoliamo infine a valle, in un paesaggio che ormai ricorda da vicino il deserto. A Er Rachidia ci fermiamo a mangiare e a riposarci qualche ora, attendendo che passino le ore  torride del primo pomeriggio. Alle cinque del pomeriggio siamo a Erfoud, dove avevamo programmato di pernottare, per raggiungere le dune di Merzouga la mattina successiva. Siamo in notevole anticipo sulla tabella di marcia e così, considerato che Erfoud ci appare squallidina e poco caratteristica, attingiamo alla nostra riserva di energie e ci rimettiamo in viaggio. Già nel tratto di strada che costeggia le Gole dello Ziz avevamo ricevuto divertenti proposte dalle guide locali per percorrere i 40 km di pista che separano Erfoud da Merzouga: ci date i bagagli e vi  seguiamo con la Land Rover; lasciate la moto a Erfoud e vi portiamo a Merzouga con la Land Rover; Carla + bagagli sulla Land Rover e Daniele in moto; portiamo noi la moto con la Land Rover… il tutto condito da minacce e funesti presagi: la pista è terribile, l’orientamento è difficilissimo, non ce la farete mai da soli… Imperterriti li avevamo allontanati, decisi ad arrivare con le nostre forze. E così faremo. La pista si rivela tutto sommato facile: il fondo per lo più è compatto e l’unica difficoltà è rappresentata dalle lingue di sabbia che ogni tanto invadono la carreggiata, costringendo a veri esercizi di equilibrismo per mantenere in piedi la moto (soprattutto viaggiando a pieno carico e con delle gomme praticamente stradali). Un vero problema, invece, sono le fastidiosissime guide locali che percorrono la pista su degli scassati motorini Peugeot e che agganciano tutti quelli che stanno viaggiando “in autonomia”, tormentandoli con offerte di ogni tipo. Quando, dopo infinite insistenze, si rendono conto che non vuoi farti guidare, né portare nella pensione del compare, né nel ristorante dello zio, continuano ancora a seguirti per un bel pezzo, ripetendoti l’odioso tormentone che le parabole devono aver diffuso anche in questo sperduto angolo di mondo: “turisti fai da te? No alpitour? Ahiahiahiahi….”. Arriviamo a Merzouga al tramonto, stanchi all’inverosimile ma attoniti di fronte allo spettacolo delle dune gigantesche che fronteggiano il villaggio. Tutt’intorno si estende una landa vasta, nera e pietrosa, solcata da piste più o meno percorribili. L’aria è ancora rovente e la mancanza di luci e di suoni sembra riscaldarla ancora di più. Troviamo un piccolo hotel proprio sotto le dune con camere minuscole e bollenti. I proprietari - di origine berbera, come amano sottolineare con orgoglio - sono gentilissimi, di una gentilezza pacata che sembra quasi la logica conseguenza del paesaggio che ci circonda. Ci preparano la cena poi restano a chiacchierare con noi sotto le stelle, sorseggiando l’immancabile tè alla menta.

 

Ven 17: Merzouga – Tinerhir (250 km)

Sempre più presto: sveglia alle 4, per vedere l’alba sulle dune (e perché tanto dormire con questa temperatura è pressochè impossibile). L’aria è già caldissima, la breve notte non ha consentito al terreno di cedere il calore accumulato durante il giorno. Alle cinque del mattino abbiamo già bevuto un litro d’acqua ciascuno… Rifacciamo la pista verso Erfoud, questa volta senza l’assillo delle guide moleste. Vediamo le dune allontanarsi all’orizzonte, sempre più piccole, fino ad appiattirsi sulla sconfinata pianura che ci circonda. La strada da Erfoud a Tinerhir è una lingua d’asfalto rovente che corre parallela a una vecchia pista, attraversando un deserto di terra rossa coperta da pietre scure, battuto dall’immancabile vento “effetto phon” e dai pastori berberi con le loro greggi o con mandrie di dromedari (o cammelli?). Arriviamo a Tinerhir nel tardo pomeriggio e, trovato un albergo, usciamo a fare una passeggiata. Come al solito veniamo avvicinati da personaggi del luogo (questa volta però sono simpatici) che, con la scusa di mostrarci le bellezze della città, cercano alla fine di accompagnarci a casa di un venditore di tappeti. Ci defiliamo e riusciamo a visitare la kasbah berbera, che sorge proprio di fronte alla medina locale, accanto all’oasi verdeggiante che ha reso possibile lo sviluppo di questo piccolo insediamento urbano. Ci perdiamo in un intrico di vicoli tutti uguali, senza pavimentazione, sui quali si affacciano case di paglia e fango appoggiate direttamente sulla terra battuta.

 

Sab 18: Tinerhir – Gole del Todra – Gole del Dades - Ait Bennadouh (250 km)

Lasciamo Tinerhir alla volta delle gole del Todra, che raggiungiamo dopo aver costeggiato una lunghissima oasi verde smeraldo, sbucata all’improvviso, come un miracolo di vita nel paesaggio mortuario delle montagne arse dal sole e dal vento. Le gole sono formate da speroni rocciosi altissimi. Vedere scorrere al loro interno l’acqua cristallina di un torrente rappresenta, in questo contesto, una sorpresa magnifica. Ancora di più ci colpiscono le gole del Dades, che incontriamo poco più avanti e che è possibile risalire per una ventina di km lungo una strada tortuosa che ogni tornante rivela a una nuova meraviglia. La sera arriviamo ad Ait Bennadouh, villaggio semideserto e surreale, la cui sola illuminazione sembrano essere i milioni si stelle che punteggiano un cielo nero come la pece.

   

Dom 19: Ait Benaddouh – “Valle delle Meraviglie” – Ait Bennaddouh – Marrakech (350 km)

Decidiamo di dedicare la mattinata a un’escursione lungo una pista che attraversa quella che, in alcuni resoconti di viaggi letti prima di partire, viene chiamata la “Valle delle meraviglie”. Lasciamo quindi il bagaglio in albergo e, con la moto finalmente scarica, partiamo alla volta di Telouet. Dopo pochi km l’asfalto termina e la strada si trasforma in una pista sconnessa, dal fondo duro e pietroso, che si arrampica zigzagando su montagne altissime, costeggia meravigliose vallate verdeggianti, attraversa villaggi ameni, lontani anni luce, si direbbe, da qualsiasi forma di globalizzazione. Affrontiamo salite ripidissime e discese vertiginose. A ogni curva c’è una sorpresa: un ruscello, una cima altissima, l’incontro con un locale che percorre la mulattiera a dorso d’asino. L’incanto dura una quarantina di km, che percorriamo in un paio d’ore, soste per le foto comprese. Arrivati a Telouet la pista finisce. Imbocchiamo la veloce statale e torniamo a Ait Benaddouh su asfalto. Il tempo di mangiare un boccone, caricare i bagagli e siamo di nuovo in viaggio. Destinazione: Marrakech. Purtroppo dobbiamo prima tornare indietro di una ventina di km, fino a Ouarzazate, perché siamo quasi in riserva e nel primo tratto della statale, come abbiamo constatato poco prima, percorrendola in direzione di Ait Benaddouh, i distributori sono sprovvisti di benzina verde. Arriviamo a Marrakech in serata, dopo aver sorpassato il passo di Tizi-n-tichka (oltre 2000 metri di altezza, temperatura che improvvisamente scende di almeno venti gradi). L’approccio con la città è drammatico: siamo in pieno agosto e per di più è sabato, quindi non si trova una camera libera. Iniziamo la via crucis degli hotel ma dappertutto la risposta è uno scoraggiante “complet”. Ci allontaniamo dal centro, sperando che la situazione migliori ma non è così. In questo affannoso migrare incontriamo altri disperati che mendicano una stanza ormai da diverse ore. Veniamo anche avvicinati da loschi individui che ci propongono sistemazioni in case di privati a prezzi esorbitanti. Li allontaniamo, ci ispirano troppa poca fiducia. Intanto si sono fatte le undici, siamo in moto ormai da quattordici ore e le nostre energie sono alla fine. Non abbiamo neppure cenato e siamo assolutamente scoraggiati. Vaghiamo per una Marrakech marginale, non troppo differente da una periferia parigina o milanese, disseminata di insegne di Mc Donald’s e Manpower. Poi un tassista ci salva, indicandoci un albergo fuori mano che forse ha una stanza libera. Si tratta di un quattro stelle di stile europeo, popolato di italiani in viaggio organizzato. Ci concedono (per una sola notte, però, perché dall’indomani la stanza è prenotata) una tripla che ci viene a costare il quadruplo di quanto abbiamo speso fin ora (circa centomila lire, un prezzo quasi europeo). Accettiamo senza protestare. Trasciniamo il nostro bagaglio nell’ascensore automatico che ci ricorda quello dell’ufficio dove lavoriamo. A letto senza cena.

 

Lun 20 – Mar 21: Marrakech

Sveglia di buon ora, con l’assillo di dover trovare una nuova sistemazione. C’inoltriamo nella medina a caccia di una pensione. Colpo di fortuna: ne troviamo immediatamente una deliziosa, a un prezzo più che ragionevole. A due passi c’è anche un garage per la moto. Tutto torna a girare per il verso giusto. L’angoscia e la stanchezza di ieri sera sono solo un ricordo. Possiamo tornare a recuperare il bagaglio dall’odioso quattrostelle di periferia, sistemaci nel cuore pulsante di questa città, a due passi dalla piazza di Jema El Fna. Dopo averci passato due giorni, io e Carla concordiamo su una considerazione: Jema El Fna è Marrakech e Marrakech è Jema El Fna. Tutto il resto è roba di poco conto. La medina per esempio, ricostruita in tempi recenti, è piuttosto turistica, nemmeno paragonabile a quella di Fes, cento volte più caratteristica e genuina. Jema El Fna, invece, enorme e popolata di saltimbanchi, venditori ambulanti e perditempo, spazio d’aggregazione e luogo d’incontro delle popolazioni berbere e degli abitanti delle montagne che circondano Marrakech, è un luogo davvero unico. Un miscuglio irripetibile di colori, odori e linguaggi. La sera, quando si accendono le luci dei venditori e i chioschi che arrostiscono carne, pesce e verdure sono in piena attività, la piazza viene avvolta da una coltre di fumo simile a nebbia, che crea intorno alle persone e alle loro attività un’atmosfera magica. Dalla terrazza di uno dei caffè antistanti, sorseggiando un tè alla menta, si può godere di uno spettacolo affascinante e surreale.

 

Mer 22: Marrakech – Essaouira (km 200)

  Con la sensazione che il viaggio stia già volgendo al termine, scivoliamo fino alla costa atlantica. Una coppia di motociclisti incontrati nei giorni scorsi ci avevano descritto Essaouira come un delizioso villaggio di pescatori. La nostra impressione, invece, è quella di un insediamento turistico senza nulla di particolare, affollato di famiglie di marocchini in vacanza e fronteggiato da un mare gelido e piuttosto torbido. Ci colpisce solo il piccolo porto, dove la sera rientrano i pescherecci e dove vengono allestite le bancarelle che arrostiscono e vendono il pesce, assediate da stormi di voraci gabbiani. Qui sulla costa la sera il clima si rivela inaspettatamente fresco. Dover indossare la felpa, dopo giornate di caldo soffocante è un autentico sollievo.

 

Gio 23: Essaouira – Tangeri – (traghetto) – Algeciras – Gibilterra (km 750)

  Avevamo pianificato di rimanere un giorno a Essaouira ma ci sembra non ne valga la pena. Partiamo per Tangeri, con l’idea di utilizzare il giorno recuperato per fare una sosta in Spagna, spezzando così la noia e la stanchezza del lungo trasferimento. Arriviamo a Tangeri in tempo per il traghetto delle 18, dopo una sgroppata su un’autostrada battuta da un vento fortissimo che ci ha costretto a percorrere decine di km con la moto inclinata di buoni 30 gradi… Alla dogana dobbiamo difenderci dall’ennesimo tentativo di spillarci soldi (l’atteggiamento rapace nei confronti dei turisti rappresenta l’unico aspetto sgradevole che talvolta abbiamo riscontrato nei rapporti con la popolazione locale) da parte di un individuo che si spaccia come un funzionario “non ufficiale” della dogana. Non avendo ceduto alla sua richiesta di denaro, veniamo costretti a una lunga fila per il visto sui passaporti, mentre i documenti di quelli che hanno pagato la “mazzetta” vengono sfacciatamente fatti passare da una porta sul retro dell’ufficio e immediatamente timbrati dall’addetto. Le due ore e mezzo di traghetto ci servono per recuperare un po’ di energie. Carla dorme, con la testa appoggiata alle mie ginocchia. Io approfitto di quest’attimo di quiete per cominciare a mettere ordine nei ricordi e nelle sensazioni accumulati in queste giornate frenetiche e piene di fatica, colori, odori e chilometri. Gli odori, soprattutto. Quell’aroma di Africa che ci colpì come una sferzata all’arrivo e che ora non sentiamo più, perché ormai ce l’abbiamo addosso. Ce lo stiamo portando via. A casa. Che altro stiamo portando via? Quali delle tante cose che abbiamo avuto appena il tempo di accarezzare, sfiorare, assaggiare appena - come quando al ristorante si ordina un tris di primi, invece di un piatto unico, per la curiosità di provare un po’ di tutto - avrà il posto d’onore nel mosaico di sensazioni che si sta già componendo nei nostri ricordi? Volendo schematizzare, le “pietanze” del nostro tris sono state: il deserto, le città imperiali, le oasi del sud. Ognuna ha rappresentato un momento importante e suggestivo. Il deserto, che avevo già incontrato un paio d’anni fa, in Tunisia, è sempre il deserto: immenso, pacifico, inquietante. Fes e Marrakech sono state una scoperta sconcertante ed affascinante nello stesso tempo. Sconcerto per la miseria nera che sembra trasudare dalle pareti delle catapecchie fatiscenti, fuoriuscire insieme al putridume dai chiusini delle fogne. Miseria nera negli occhi scavati, nei corpi sfatti, nei denti marci dei tantissimi mendicanti che divorano e chiedono, chiedono e divorano senza posa. Miseria nera nei gironi infernali dei souk più poveri, ricettacolo di un’umanità immonda, disperata, prigioni dove si spegne l’infanzia di centinaia di bambini lavoratori. Eppure spesso il nostro sguardo ha indugiato quasi con compiacimento sui particolari più sordidi di questa miserabile rappresentazione. Un magnetismo invincibile avvolgeva lo spettacolo che si srotolava di fronte ai nostri occhi di occidentali, abituati a percorrere strade pulite, ambienti ordinati, una vita fatta di “giusti” doveri e “adeguate” ricompense… Le oasi, le gole verdi e profumate percorse da limpidi torrenti: sembrano pezzi di paradiso piovuti dal cielo. Sono la rivincita della bellezza sull’arido infinito del deserto. E che esperienza esaltante percorrere quella pista pietrosa con lo sguardo rapito da una sequenza mozzafiato, col Giesse che, privo dei bagagli, era diventato un’agile gazzella e Carla che mi stringeva forte da dietro e mi regalava la sua gioia, il suo stupore, le sue acute osservazioni… ecco, se dovessi scegliere una pietanza sola… cameriere, mi porti pure questa! Il fuso orario gioca a nostro sfavore, questa volta. Sbarchiamo in Spagna che è quasi l’una di notte. Ancora in moto, per un ultimo sforzo. Montiamo la tenda su una splendida spiaggia nei pressi di Gibilterra per qualche ora di meritato riposo.

 

Ven 24: Gibilterra – Barcellona (km 1250)

  Ci sveglia la polizia alle sette del mattino, cazziandoci bonariamente perchè il campeggio libero è vietato. Approfittiamo dell’alzataccia per partire col fresco. C’incolonniamo in autostrada nel flusso compatto del rientro dalle ferie. Sono quattordici ore scandite dalle soste: 200 km, sosta: caffè; 200 km, sosta: caffè e pipì; 200 km, sosta: panino… Arriviamo a Bacellona alle dieci di sera, esausti. Troviamo un campeggio sul lungomare, montiamo la tenda, crolliamo in un sonno simile a uno svenimento.

 

Sab 25: Barcellona

  Dovrebbe essere una giornata di relax ma come resistere alla voglia di esplorare, almeno superficialmente, questa città sconosciuta a entrambe? In una giornata intensa riusciamo a visitare la Sagrata Familia, stupendoci per la sua surreale architettura, a passeggiare sulle Ramblas, a gustare l’immancabile paella… Magnifica città, Barcellona. Ci torneremo.

 

Sab 25: Barcellona – Saturnia (km 1300)

Ancora una giornata a tutto gas. Obiettivo: fare più strada possibile. Non va male, tutto sommato: a mezzanotte siamo praticamente a due passi da casa… Usciamo dall’Aurelia e montiamo la tenda proprio davanti alle terme di Saturnia. Un bagno caldo, dopo 1300 km di moto, è un’orgasmo di piacere indescrivibile. Cancelliamo definitivamente il nostro odore d’Africa in quello sulfureo delle acque termali.

 

Dom 26: Saturnia – Roma (km 150)

  I centocinquanta km che ci separano da Roma sono uno scherzo, ormai. All’ora di pranzo siamo casa. Abbiamo l’intero pomeriggio per disfare le valige, caricare qualche lavatrice, dormire qualche ora, prepararci mentalmente ad andare in ufficio, domattina…

 

APPENDICE

Documenti necessari:

 

Costi:

Trasferimento Roma – Algeciras – Roma:

benzina: circa 350 litri di benzina per 5200 Km fatti di buon passo

autostrada: in Francia è più cara che in Italia (ma in compenso la tariffa è differenziata tra auto e moto, quindi in definitiva si paga meno); in Spagna i prezzi sono allineati ai nostri (da Alicante in poi l’autostrada è gratis)

 

Traghetto Algeciras – Tangeri – Algeciras:

250 mila lire per due persone + la moto (A/R)

 

Soggiorno in Marocco:

100 mila lire al giorno sono sufficienti per la benzina (media di 250 km al giorno), i pasti (ristorantini, cucina locale) e il pernotto (camera doppia in pensioni economiche e non classificate, disponendo del necessario spirito d’adattamento…)

 

 

Valuta:

A causa della difficoltà di usare le carte di credito come mezzo di pagamento, abbiamo portato l’intero budget per il Marocco in contanti, provvedendo a cambiarlo in Dirham alla frontiera. Poi, per minimizzare i rischi, ci siamo divisi il “bottino”… Nel trasferimento attraverso Francia e Spagna abbiamo invece pagato tutto (autostrada, benzina, cibo, pernotti) con le carte di credito. Ciò ci ha consentito di non prelevare valuta locale, risparmiando tempo e il costo delle commissioni.

 

La moto:

La R1150 GS si è rivelata, come al solito, un’ottima compagna di viaggio: comoda, veloce e con un’eccezionale comportamento dinamico anche a pieno carico. Ci ha concesso medie di tutto rispetto nel lungo trasferimento autostradale e si è dimostrata agile e divertente nelle più impervie strade di montagna. Con qualche precauzione abbiamo perfino affrontato un paio di piste fuoristrada senza grossi patemi d’animo. Prima di partire ho montato i tubi paramotore (quelli originali BMW), che, per quanto antiestetici, consentono di eliminare quello che a mio giudizio rappresenta l’unico punto debole, sotto il profilo della robustezza, di questa moto: la possibilità che in una banale scivolata si spacchi il coperchio della testata. La leggendaria affidabilità dei boxer BMW è stata confermata: 8000 km senza stringere un dado né rabboccare un goccio d’olio (alla partenza il livello era al max, all’arrivo a metà circa…).

 

Il fuoristrada:

Prima della partenza avevo considerato la possibilità di montare dei pneumatici tassellati ma avevo rinunciato considerando che, a causa dei 2600 km di autostrada da percorrere a pieno carico, saremmo arrivati in Marocco con le gomme massacrate. Certo è che le Metzler Tourance, ottime per grip su asfalto e per durata, sulla sabbia sono assolutamente nulle. Un po’ di aderenza in più si potrebbe forse ottenere diminuendo un po’ la pressione dei pneumatici… io francamente non ho provato.

Un altro limite è rappresentato dal considerevole peso: provate ad aggiungere ai duecentocinquanta kg della moto i bagagli, il pieno di benzina e la (pur leggera) passeggera e vi troverete tra le mani un arnese davvero difficile da gestire off road. L’approccio con la sabbia è stato scoraggiante, sulle prime… poi ho provato a scaricare il bagaglio e mi è sembrato di avere di nuovo tra le mani la mia vecchia XR… Senza esagerare, diciamo che la situazione è migliorata parecchio. In particolare deve aver influito notevolmente la rimozione del pesante borsone che avevo legato al portapacchi posteriore, in una posizione non felicissima per la distribuzione dei pesi (su strada non te ne accorgi quasi, ma fuoristrada il baricentro alto si fa sentire). Insomma, il consiglio che mi sento di dare a chi volesse affrontare qualche pista col Giesse è di scegliere percorsi ad anello da compiere in giornata e… lasciare i bagagli in albergo!

Un ultimo accorgimento è quello di rimuovere (e lasciare in compagnia dei bagagli…) il plexiglass del cupolino: oltre a rendere difficoltosa la visibilità di quello che accade “sotto le ruote” (cosa piuttosto fastidiosa nel fuoristrada lento, soprattutto se si viaggia in due e quindi non ci si può alzare in piedi sulle pedane), vibra notevolmente nei tratti di pista con fondo sassoso oppure sul “toule ondulè” e tende a far allentare le viti di fissaggio.

 

 

 

Benzina

 

I distributori sono frequenti, ovunque si trova la Super e quasi ovunque la verde a 95 ottani: nessun problema, quindi, per le moto catalizzate. Chi non volesse proprio correre alcun rischio, comunque, può considerare l’idea di sostituire la parte dello scarico che contiene il catalizzatore con il kit commercializzato dalla Touratech ad “appena” 400 mila lire… Un Giessista incontrato in loco aveva sperimentato con successo questa soluzione: a suo dire la moto tendeva solo a scoppiettare un po’ in fase di rilascio del gas.

La qualità della benzina marocchina, comunque, non deve essere eccelsa: in particolari condizioni (soprattutto quando lavora sottocoppia, con un rapporto alto inserito e con una temperatura esterna elevata) il motore tende a battere in testa, come e più di quanto non avvenga con la verde nostrana. E’ da notare che con la verde a 98 ottani, reperibile in Francia e Spagna, il problema scompare del tutto.

 

 

 

Abbigliamento tecnico:

 

Per limitare al massimo il bagaglio, cerchiamo sempre di utilizzare un abbigliamento motociclistico “senza eccessi”, che possa essere utilizzato anche per passeggiare a piedi. Quindi:

 

 

 

Attrezzature varie:

 

 

 

Sistemazione del bagaglio:

 

Nota: questa soluzione è da preferire, a mio giudizio, al bauletto, soprattutto se si intende fare del fuoristrada. Il bauletto infatti è dotato di attacchi inevitabilmente fragili, altera il baricentro della moto ed è, oltretutto, orrendo…).

 

 

 

Bibliografia / Cartografia:

 

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